giovedì 30 giugno 2011

Storia vera di una IVG (interruzione volontaria della gravidanza)


Era estate, come oggi. Era inizio luglio, come ora. Era caldo, tanto caldo. E a quello avevo dato la colpa delle prime nausee. Invece subito mi resi conto che qualcosa non era come doveva e che quelle non erano nausee da caldo e fatica. Ero incinta. Io, con due figli, di cui una con un problema al fegato che l'aveva già portata a un trapianto, e che aveva un rigetto cronico in corso. Io, che lavoravo quando potevo, perché seguire la bimba di 6 anni avanti e indietro dagli ospedali non permetteva un lavoro fisso. Io che avevo si un compagno ma abitava per motivi di lavoro a 1000 chilometri da casa. No. Probabilmente qualcosa si era rotto, perché le precauzioni prese erano state tantissime. Tutte tranne la pillola che per motivi di salute il ginecologo mi aveva assolutamente sconsigliato. Eppure era lì, un test preso in farmacia e la conferma era sotto gli occhi, miei, perché lui era via per lavoro.
"Che bello, un bimbo" avrei gridato in altre circostanze. Invece in quel momento mi passarano davanti le immagini di mia figlia, Pamela, in coma a 2 mesi di vita, le corse in ospedale per salvarla, le lotte con le ASL locali per avere i diritti base di una malattia non diagnosticata subito. E poi, il lavoro, che non era sempre sicuro. E lo sguardo di mio padre, che avrebbe detto, con la sua voce sempre calma e severa "Era necessario?" Cosa che comunque mi disse poco meno di 3 anni fa mia mamma in questo stesso periodo.
No, non si poteva fare. Chi avrebbe seguito Pamela? Chi avrebbe corso per lei e chi ci avrebbe aiutate a mangiare?
In quei momenti la lotta interiore è forte... adoro i bambini, ne farei a migliaia, ma si deve sempre fare i conti con tutto il resto, con la realtà cruda del materialismo moderno, che non permette quasi a nessuno di andare oltre il figlio unico, figuriamoci tre, visto che il mio primo figlio aveva già 9 anni. No, non avevo alternative. Non in quel momento.
Alzai il telefono, chiesi un appuntamento con il consultorio. Ero terrorizzata. Non tanto dall'operazione in se. Ma da tutto il resto, da come mi avrebbero guardato le altre persone, da cosa mi avrebbe detto il medico, da come (nonostante avessi quasi 30 anni) mi avrebbero giudicato i miei famigliari. La decisione più dura fu quella di non dire nulla a nessuno. Andai all'appuntamento, il primo di una serie, da sola. Entrai e attesi di essere chiamata dal medico ginecologo di turno in consultorio per il colloquio. Aprii la porta quando mi sentii chiamare. Restai per un attimo senza fiato. Non sapevo chi avrei visto seduto al tavolo, ma di sicuro non mi sarei aspettata di trovare lui. Mi trovai a fissare per un attimo il medico che aveva fatto nascere i miei due figli. Lui era anche il medico che non avrebbe fatto nascere questo. Mi pareva un controsenso, una cosa strana. Eppure sapere che era lui, che mi conosceva, tanto da ricordarsi perfettamente i nomi dei miei bambini e da chiedermi come stava Pamela, mi rassicurò. In un momento difficile come quello almeno avevo qualcuno che conoscevo di fianco e di cui mi fidavo. Trattenni le lacrime. Lui non mi chiese ne perché ne per come. Mi visitò e mi prescrisse degli esami del sangue. Poi colloquio con lo psicologo. Colloquio che deve essere stato veloce, perchè non mi ricordo nulla. Nemmeno chi fosse. Alla fine, tornata dopo qualche giorno dal medico mi diedero l'appuntamento per effettuare l'intervento. Due giorni. Due dayhospital. Il primo per i controlli e gli esami, il secondo per l'operazione in se.
Ero nel letto, che attendevo di essere chiamata in visita, ed entrò un medico, il ginecologo che aveva seguito a pagamento la mia prima gravidanza. Mi vide, mi riconobbe e mi disse "se il problema sono i soldi, troviamo la soluzione". Come se tutto si risolvesse sempre con un po' di soldi. Non risposi nemmeno. Uscì così come era entrato. Nel pomeriggio ripassò, si affacciò alla porta e mi disse "sei ancora in tempo per cambiare idea". Mi diede fastidio. Mi urtò profondamente perché non capiva, o non voleva capire, che non avevo alcuna scelta, anche se la mia scelta sarebbe voluta essere un'altra. La mattina dopo andai in ospedale, mi accompagnò il mio ex marito. L'unico, oltre a me e al padre del bambino, che sapeva tutto. L'unico che fino ad oggi ha saputo tutto dall'inizio. Restò li con me tutto il tempo. Mi salutò prima di andare in sala operatoria e mi risalutò quando mi sveglia dopo l'intervento.
Ricordo chiaramente i colori e gli odori di quel giorno. Le lenzuola ruvide e il caldo mitigato dall'aria condizionata. Il sole che batteva sul letto e la tapparella abbassata per tentare di tenere lontano quel calore afoso che si ha da noi in estate. La preparazione per l'intervento e poi lo spostamento, in barella, verso la sala operatoria. Con passaggio obbligato, tipo sfilata, davanti a quasi tutto il reparto. Perché nell'ospedale dove ero le stanze dedicate alle pazienti "ivg" (cosi ci chiamavano) erano in fondo al corridoio. Ricordo gli occhi delle persone lungo il corridoio. Occhi che non avevano alcuna intenzione nemmeno di provare a capire cosa si possa provare. Tanto non era un problema loro. Ero io l'assassina. Ero io che stavo uccidendo secondo loro. In barba a qualsiasi senso cattolico di "misericordia" e di "compassione" avevano deciso che io ero cattiva e come tale mi guardavano. Loro erano buoni. In quel momento. La stanza dedicata alle operazioni di ivg era posta in fondo al blocco delle sale parto, quindi con noncuranza, devi passare davanti alle sale travaglio e poi alle sale parto. Fingendo che non te ne freghi nulla del fatto che stai per non avere un bambino. Tutti pensano che sia una cosa facile, ma non lo è.
Poi mi hanno parcheggiato nel corridoio, coperta con un lenzuolo, e mi hanno "dimenticata" li per una buona mezz'ora. Non da sola, si mancherebbe, con quella che veniva prima di me e poi con quella che veniva dopo di me. In coda. Come alle poste. Ci mancava solo il numerino in mano (sostituito dalla cartella clinica che riportava in vista l'adesivo IVG e il numero di letto). Nessuno, dico nessuno, è passato a chiedere se era tutto ok, se sentivamo freddo o altro. Nemmeno ci salutavano. Passavano, si, le infermiere avanti e indietro, ma mai una parola. Solo sguardi.
E poi la sala operatoria. Una stanza anonima, il ginecologo di fronte a me, le due infermiere, l'anestesia, la paura e il buio.
Tutto finito. Quando ho riaperto gli occhi stavo di nuovo nel corridoio. Un'infermiera si accorse che ero sveglia e venni trasferita di nuovo nel mio letto.
Finito. Alle cinque del pomeriggio potei andare a casa.
Credete che sia stato facile? Che sia stata una scelta semplice e che, ancora oggi, non mi ritrovi a volte a pensarci? Io di figli ora ne ho 3, ma in realtà ne ricordo 4. E ricordo bene il dolore che provai per non poter in nessun modo prendermi cura di quella che avrebbe potuto essere una nuova creatura. Un dolore che purtroppo nessuna cifrà poteva lenire, perché alcune volte i problemi non sono solo economici. Ci sono anche quelli pratici e nessuno ti da una mano in quelli. Avere una bimba già disabile in casa non permetteva in quel momento di pensare ad altro. Un preservativo rotto ha fatto tutto. La soluzione unica per non avere figli sarebbe stata la completa astinenza sessuale. Cosa che a meno di 30 anni in genere non si valuta come una soluzione, visti anche i tanti mezzi contraccettivi e anticoncezionali presenti sul mercato.
Scrivere questa mia storia personale, per la prima volta, e metterla a conoscenza anche di persone a me care, che fino ad oggi non sapevano, mi è costata fatica. Ma ne va del diritto di ogni donna di poter scegliere e decidere. Un diritto sancito da una legge italiana che deve poter essere rispettata in tutti i suoi punti. Ben venga che un medico decida di optare per l'obiezioni di coscienza ma, come nel caso dell'Ospedale di Arezzo di questi giorni, l'amministrazione deve poter in tempi brevi, garantire all'utenza che il diritto all'ivg sia esercitabile, assicurandosi che almeno uno dei medici presenti sia non obiettore. In caso contrario sarebbe sancito per dato di fatto la totale impossibilità per un cittadino di esercitare un diritto sancito per legge, il che è anticostituzionale.
Spero che raccontare questa storia mia, persona e difficile, possa servire anche a far capire a tutte le donne che si trovano in quel momento particolare che è il momento della scelta, che non devono mai, in alcun modo, arrendersi. Abortire è doloroso, non fisicamente, quanto psicologicamente, ma è purtroppo alcune volte l'unica scelta disponibile. Andate a testa alta, perché se in quel momento sceglierete di effettuare una ivg solo voi potete sapere e sentire il dolore di questa scelta.
Io, ora, dopo quasi 10 anni, mi rivedo in quella stanza e sono certa che in quel momento avrei potuto fare solo in quel modo. Un bimbo di 9 anni, una di 6 che ogni settimana era in ospedale e che lottava tra la vita e la morte, un lavoro fisso impossibile perché nessun datore di lavoro ti assume sapendo che spesso sarai assente per seguire una bimba che sta male da quando è nata. E poi la paura di rivivere lo stesso incubo vissuto con Pamela, il terrore di vedere di nuovo ricominciare tutto da capo. Mi ci sono voluti 10 anni per smaltire tutto. Ora di figli, ripeto, ne ho 3. L'ultima ha 17 mesi e sta bene. Domani sarà con me, al mio fianco, alle 10 e 30, davanti all'ospedale di Arezzo (ingresso principale), per dimostrare che chi sceglie di abortire non è contro la vita, non sempre e non necessariamente. Le motivazioni sono talmente tante e personali che solo una persona ignorante, assolutamente priva di senso di compassione e di amore fraterno, può arrogarsi il diritto di giudicare.

mercoledì 29 giugno 2011

Sospesa nei fatti la 194 ad Arezzo


Apro Facebook dopo qualche giorno e un'amica, aretina, mi invia subito questo messaggio.
Da domani, nell'ospedale di Arezzo, l'ultimo ginecologo NON obiettore uscirà dall'organico. E' questa una situazione accettabile? La garanzia di un diritto conquistato faticosamente (quello all'aborto) da noi donne deve essere sostenuta fortemente ma nonostante il fatto che questa pratica medica sia un diritto legalmente sancito esistono organici ospedalieri che si permettono (contro la legge) di non offrire questo servizio in nome di una pratica religiosa. E' costituzionalmente accettabile che un intero organico sia obiettore e che l'utenza rimanga senza un servizio? E' normale che l'amministrazione taccia? Soprattutto con un ginecologo al suo interno?
E già. Da donna, da mamma, da cittadina mi chiedo le stesse cose. Come sia possibile nel 2011 con una legge che dovrebbe garantire la libertà di scegliere, che una città, capoluogo di provincia, nel famoso Nord, anzi nella eccelsa Toscana, possa restare senza nessun medico ginecologo NON OBIETTORE. Dove è stato messo il diritto sancito dalla legge 194/78? Che deve fare una donna di Arezzo che nel pieno suo diritto può decidere di non proseguire una gravidanza? Dovrà spostarsi, andare a Firenze, o a Siena.
Articolo pubblicato su www.periodicoitaliano.info e su www.informarezzo.com